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Il disturbo alle osservazioni al telescopio

Tutta l'informazione che possiamo ricevere dagli oggetti che popolano il nostro universo, al di là dei confini del sistema solare, è rappresentato dalla loro emissione elettromagnetica. Almeno fino a che i rivelatori di onde gravitazionali e di neutrini non avranno raffinato la loro tecnologia. La parte dello spettro elettromagnetico che comprende la luce visibile e l'infrarosso ed ultravioletto vicini, è il dominio dell'Astronomia Ottica. È una parte importante, entro cui cade il massimo di emissione delle stelle normali. Date le grandi distanze in gioco, l'intensità ricevuta sulla Terra dalle sorgenti astronomiche è estremamente piccola. È quindi necessario dotarsi di strumenti capaci di raccogliere i quanti di energia luminosa, i fotoni, che incidono su un area ampia il più possibile e di concentrarli su un rivelatore che sia il più efficente possibile, ossia capace di registrare un'elevata percentuale di tali fotoni incidenti.

I telescopi di nuova generazione hanno superfici di raccolta che vanno dagli 8 104cm2 del Telescopio Nazionale Galileo e dell'New Tecnology Telescope dell'European Southern Observatory (ESO), agli 8 105cm2 del telescopio Keck ed arriveranno ai 2 106cm2 di apertura equivalente con il Very Large Telescope dell'ESO. I telescopi classici hanno aree nell'intervallo $7.8~10^{3}cm^{2}(\oslash~1m)-7.1~10^{4}cm^{2}(\oslash~3m)$. I telescopi degli astrofili in Italia hanno superfici di raccolta tra i $3.1~10^{2}cm^{2}(\oslash~20cm)-5.0~10^{3}cm^{2}(\oslash~80cm)$. Per confronto, l'area di raccolta dell'occhio, quando la pupilla è alla sua massima estensione ($\oslash~8mm$), è circa $0.5~cm^{2}$.

Il rivelatore, oltre a registrare un'elevata percentuale dei fotoni incidenti, deve essere anche capace di misurarne con precisione la quantità. Inoltre deve essere capace di integrare la quantità di fotoni in un intervallo di tempo di lunghezza fissata (tempo di integrazione), di operare in un ampio intervallo di intensità di flusso senza saturarsi o perdere sensibilità e di memorizzare le informazioni ottenute. L'occhio non è il rivelatore ideale per vari motivi tra cui la limitata precisione di misura e la impossibilità di integrare la luce in intervalli di tempo lunghi. Il rivelatore più usato attualmente è il CCD (Charge Coupled Device) che sfrutta l'effetto dei fotoni nell'estrarre elettroni da un semiconduttore. Un altro rivelatore usato è il fototubo, che troviamo ad esempio nei fotometri fotoelettrici, che sfrutta l'emissione di elettroni da parte di un fotocatodo. Il CCD ha il vantaggio non solo di avere una risposta lineare ma anche di poter essere costruito come matrice di elementi sensibili e quindi di fornire un'immagine bidimensionale. I tempi di integrazione possono arrivare a parecchie ore nel caso di osservazione di oggetti deboli.

L'utilizzo di grandi aree di raccolta di fotoni e di lunghi tempi di integrazione fa si che si possano raccogliere da una certa area di cielo, nel corso delle osservazioni astronomiche, un numero di fotoni alcuni miliardi di volte maggiore di quello che arriva in un centimetro quadrato in un secondo.




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Pierantonio Cinzano
3/12/1998